Il gaslighting sul lavoro e l’arte di confondere (con bonus fiscale incluso)

C’è una forma di violenza che non lascia lividi ma svuota. Non urla ma sussurra. Non aggredisce ma insinua. Si chiama gaslighting e nel mondo del lavoro è diventato una specie di sport nazionale, praticato con la stessa disinvoltura con cui si inoltra una mail in copia conoscenza.

Il meccanismo è semplice, quasi elegante nella sua crudeltà: ti fanno dubitare di te stesso. Ti dicono che sei troppo emotivo, troppo lento, troppo poco “smart”. Ti convincono che il problema sei tu mentre loro, i manipolatori, si muovono con la grazia di chi ha sempre ragione. E tu, per non disturbare, per non sembrare paranoico, finisci per crederci.

Ma c’è un dettaglio che merita attenzione. Il gaslighting prospera nella confusione: più l’ambiente è caotico, più le regole sono fluide, più le responsabilità si sciolgono come neve al sole, più gli incapaci emergono. Non perché siano bravi ma perché sono bravi a sembrare bravi. In un sistema dove nessuno sa esattamente chi fa cosa, chi non fa nulla ha gioco facile.

Chi attua il gaslighting, spesso non è un genio del male ma è qualcuno che ha trovato la sua zona di comfort: un angolo opaco dove può nascondere le proprie mancanze. Uscirne significherebbe esporsi, mostrarsi per quello che si è: un mediocre con buone doti di mimetismo. E allora meglio restare lì, nel limbo delle mezze verità, dove l’unica regola è non avere regole ma soprattutto non dare risposte ed inoltrare mail.

E poi c’è il burnout che non è solo stanchezza ma una vera e propria implosione emotiva. Ti svuoti, ti spegni, ti consumi. Ma anche qui la narrazione dominante è tossica: “devi imparare a gestire lo stress”, “fai yoga”, “mangia sano”. Come se bastasse una tisana al finocchio per sopravvivere alla disumanizzazione.

Ora, in un Paese dove si può detrarre fiscalmente quasi tutto — dai corsi di ballo per i figli ai pannelli solari, passando per le tende da sole e le zanzariere — ci si chiede: il burnout è detraibile? Si può portare in dichiarazione dei redditi la propria stanchezza cronica, il senso di vuoto, le sedute dallo psicologo? In parte sì. Alcune spese sanitarie legate alla salute mentale sono detraibili ma solo se accompagnate da fattura, codice fiscale, e una pazienza che rasenta la santità. Il dolore in Italia deve essere certificato. E possibilmente timbrato.

Difendersi è difficile. Serve lucidità che è merce rara quando si è stanchi. Serve coraggio che è merce rarissima quando si ha paura. Ma soprattutto serve tempo. Tempo per capire che non sei tu a sbagliare ma il contesto che ti fa sentire sbagliato. Tempo per ricordarsi che il lavoro dovrebbe essere un luogo di crescita, non una palestra di sopravvivenza.

E forse, alla fine, serve anche un po’ di ironia perché se non possiamo cambiare subito il sistema possiamo almeno riderne. Con garbo, con intelligenza e con quella sottile malinconia che, a volte, è l’unico modo per restare umani aiutati che anche da Dio (lascio scegliere a voi a quale affidarsi).

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