Manuale di sopravvivenza per frutti non convenzionali
L’essere umano non è una mela. Troppo levigata, troppo Cupertino Style e qualcuno preferisce il sistema Android.
Non è nemmeno una banana. Troppo lineare, troppo pop art.
Non è un limone per carità: l’acidità è roba da giornate storte.
Forse, se proprio vogliamo giocare con la frutta potremmo azzardare un’arancia: sferica ma non perfetta, ha la buccia ruvida, aspra, imprevedibile, ti schizza addosso e ti lascia quell’odore che sa un po’ di appiccicoso.
Ma io se devo scegliere scelgo l’ananas.
Sì, l’ananas. Quella cosa che ti guarda dal banco del supermercato con gli stessi occhi spaesati di Mr Wilson di “Cast Away”, la sua corazza da guerriero medievale e la chioma da Billy Idol.
Ruvida, pungente, apparentemente ostile. Ma dentro? Dentro è polpa. È succo. È verità.
Una verità che va sbucciata centimetro per centimetro con pazienza e dita che si graffiano.
E poi c’è quel dettaglio che manda in crisi i nerds: la scorza dell’ananas segue in modo naturale la successione di Fibonacci: otto spirali da una parte, tredici dall’altra, ovvero la perfezione matematica travestita da frutto tropicale.
Faccio outing: tempo fa mi hanno diagnosticato l’ADHD ovvero il “Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività”.
Per me leggere è sempre stata una caccia al tesoro tra le parole, le emozioni un flipper impazzito e il mondo sembrava sempre un po’ troppo rumoroso e lento.
Non è stato quindi uno shock ma la conferma di quel sospetto che mi seguiva come un’ombra discreta quindi niente drammi ma nemmeno una passeggiata: diciamo una camminata in salita con scarpe un pochino strette.
Alle medie gli insegnanti (quelli con la verità in tasca) dissero a mia mamma che non ero “molto normale” e mi mandarono dallo psicologo della scuola per due sedute a settimana non per aiutarmi a capire me stesso ma per cercare di mettere ordine nel loro senso di inadeguatezza.
Peccato che nessuno mi disse che quel mio disordine era anche la mia bellezza (perché io sono oggettivamente bello, anzi bellissimo).
Si perché quel modo di pensare, di sentire e di vivere era ed è tuttora il mio marchio di fabbrica, il mio brand personale.
Chiariamo subito: non mi esibisco sui tavoli come Tafazzi, non giro nudo gridando “la fine del mondo è vicina” e non ho armi nascoste nei pantaloni.
Però, quando la stanchezza o lo stress mi prende a schiaffi il mio cervello decide di giocare a Scarabeo con le parole: inciampo, mescolo lettere e numeri come fossero ingredienti di una ricetta sbagliata e talvolta faccio fatica a filtrare il tutto.
Immaginatemi davanti al bancomat durante una rapina dopo un giorno di lavoro: “Scusi, signor rapinatore io ho l’ADHD e se mi punta addosso l’arma non riesco ad allineare il PIN”.
Tu pensi 12345 ma le dita scrivono 53421, poi 43215, e via tutte le combinazioni (considerato che un PIN ha 5 numeri ho 100.000 combinazioni possibili). Sembra una scena tratta da un film di Woody Allen.
Fa ridere.
Ma è la verità.
Per non farmi mancare nulla sono anche iperattivo.
Quando mi dicono “stai calmo” capisco subito che il problema non sono io ma sono loro che arrancano dietro al mio ritmo e si innervosiscono perché non capiscono che non sono affatto nervoso.
E a quel punto rispondere “sono calmo” sarebbe solo tempo perso: tanto l’etichetta di ansioso me l’hanno già appiccicata ma se dovesse cadere il mondo io farei in tempo a spostarmi mentre loro rimarrebbero schiacciati.
A differenza loro la mia testa corre sempre.
Ma anche questa è polpa.
Perché chi più e chi meno siamo tutti ananas.
Con le nostre fragilità che ci rendono umani e con tutte le nostre “stranezze”.
Umani.
Una parola che oggi sembra quasi imbarazzante.
U-M-A-N-I
Nessun test della personalità e diagnosi può racchiudere o descrivere il miracolo disordinato, appiccicoso e meravigliosamente umano che siamo per quanto a volte possa sembrare disarmante o destabilizzante.
E se qualcuno ci dice che non siamo “normali” o “umani” è perché probabilmente ha paura di sbucciarci.
Perché non conosce la successione di Fibonacci.
Perché la normalità è solo una buccia lucidata per piacere agli altri, e dentro?
La verità continua ad essere dentro nella polpa.
L’ananas, diciamolo, non è quel succhetto di mela da merenda che sa di noia.
Non è nemmeno il potassio della banana post-allenamento che ormai è più un cliché.
E di certo non è il succo d’arancia della colazione che fa molto America Style.
L’ananas è un’altra storia: pungente fuori, sorprendente dentro.
La polpa dell’ananas non si arrende facilmente: si aggrappa alle papille gustative.
Respira. Ama. Lotta.
Quindi anche un ananas può aspirare a diventare arte in movimento… o almeno un cocktail esistenziale versione “Virgin” per chi vuole “essere” senza l’alterazione dell’alcol.
Ah dimenticavo, per gli amici del fitness pare pure che sciolga i grassi, io non ci credo ma mi piace pensarlo.

