Turnover, Scazzi e Manager in Limbo: Cronaca di un’Azienda che Non Comunica
"So di essere di altezza media, ma non vedo giganti intorno a me."
Giulio Andreotti, che di giganti ne ha visti passare più di un casting per “Il Grande Fratello”, aveva già capito tutto. Oggi in certe aziende questa frase suona come una condanna definitiva. Perché il problema non è l’altezza ma la vista corta. E non quella da oculista ma quella manageriale.
Benvenuti nel regno del “abbiamo sempre fatto così”, dove il turnover è più rapido di un aperitivo in zona “CityLife” a Milano e la valorizzazione delle persone è un concetto evanescente tipo la meritocrazia nei talk show politici. I dipendenti entrano, si siedono, lavorano con l’espressione da cocker abbandonato, si scazzano, se ne vanno. E i manager? Restano. Immobili. Come statue di sale davanti al cambiamento che non capiscono, non vogliono gestire e per questo finiranno nel girone dantesco degli ignavi: nudi, inseguiti da un’insegna che corre più veloce di un KPI e punti da vespe e mosconi aziendali.
Il piacere di partecipare a un progetto? Un miraggio. Si parla di team building e engagement come se fossero malattie tropicali importate da missionari domenicani del XIV secolo. L’employer branding? Uno zainetto, una borraccia col logo aziendale, quattro quaderni e una maglietta che nemmeno al campo estivo della parrocchia.
Poi, quando si tratta di ascoltare davvero, di comunicare, di dare valore alle idee, cala il silenzio. Il dipendente diventa il problema. Non perché lo sia, ma perché è più facile etichettarlo che capirlo. È il capro espiatorio perfetto per manager che non sanno comunicare, non vogliono mettersi in discussione e vivono nel limbo del “non ho tempo”, “sono oberato”, “ho mille cose da fare”. Ma se scavi scopri che le attività sono sempre le stesse, fatte e rifatte, perché ogni volta manca un’informazione, una direzione, una visione. E quindi diventano tante, ma è sempre la stessa.
La comunicazione interna è un campo minato. Le riunioni sono monologhi narcisistici del proprio ego dove non ci si ascolta ma ci si sente, come quando in macchina parte una canzone che non ti piace ma sei troppo pigro per cambiare stazione e te la tieni, ogni tanto accenni a qualche miagolio e speri in un disturbo della frequenza. Le mail sono scaricabarile, i feedback sono fantasmi. E quando qualcuno osa proporre qualcosa di nuovo viene guardato come un alieno: “troppo creativo”, “troppo giovane”, “troppo diverso”, “troppo ansioso”. Troppo, insomma.
Nel frattempo il turnover cresce. I talenti se ne vanno. I mediocri restano. E l’azienda? Sopravvive. In alcuni casi cresce pure ma non vive. Perché un’organizzazione che non sa ascoltare, che non sa comunicare, che non sa valorizzare è destinata a diventare un museo delle occasioni perse. Con le teche piene di idee non ascoltate, progetti abortiti e persone demotivate.
Andreotti non vedeva giganti intorno a sé. Noi, oggi, vediamo solo nani sulle spalle di altri nani. E il panorama, purtroppo, resta sempre lo stesso.